Un Natale diverso

Ho quasi sconfitto il Covid19 dopo 5 mesi di ospedale di cui uno in coma farmacologico, eppure questo è stato un ottimo Natale per me e la mia famiglia. Sconfiggerò i residui con l’anno nuovo. Buon Natale a tutti!

L’infelicità privata, la povertà, l’ingiustizia sociale ed economica, la disperazione di chi ha perso il lavoro o gli affetti, non sono fuori dalla storia e non sono ancora al termine. Anche in una società perfetta, come diceva Albert Camus, i bambini continueranno a morire ingiustamente. E però dobbiamo dircelo, anche alla fine di quest’anno orribile, proprio perché siamo alla fine di un anno orribile: mediamente, noi occidentali nati tra la fine degli anni quaranta del secolo scorso ed oggi siamo gli esseri umani più fortunati di sempre.

Siamo le generazioni che non hanno conosciuto la povertà come fenomeno di massa, e piuttosto hanno vissuto il benessere come condizione minima. Abbiamo considerato la scolarità e la sanità pubblica come scontate, il viaggio e lo spostamento internazionale come una cosa ovvia, non abbiamo mai conosciuto la guerra se non nei racconti dei testimoni di quelle di allora, proprio quei testimoni che uno ad uno se ne stanno andando. Noi non  avevamo ancora conosciuto una pandemia.

C’è voluto quest’anno terribile per ricordarci la paura, la fragilità, la fine della vita come ipotesi concreta e improvvisamente attuale e minacciosa per noi e i nostri affetti. La forte limitazione della libertà di ciascuno come via maestra per la salvezza dei più, soprattutto dei più fragili. La spesa pubblica e il debito come unica risorsa possibile perché la fame non ne uccida tanti ancora, tanti di più. L’altro, che per gli altri siamo noi, è diventato possibile vettore di contagio e di malattia. Noi stessi ci siamo scoperti pericolo inconsapevole per tutti, e soprattutto per le persone cui teniamo di più, proprio quelle che vogliamo proteggere e che vorremmo non perdere mai. Abbiamo conosciuto l’incoscienza di chi nega la malattia, il cinismo di chi pensa che a morire siano solo i vecchi (e quindi pazienza), e il privilegio di chi forte di una rendita invitava a fermare tutto – la scuola, il lavoro, la vita – perché solo così si poteva tutelare la salute. Abbiamo conosciuto un paese prima pronto a obbedire a tutto, perché terrorizzato della morte, poi sempre più insofferente ad accettare limitazioni per definizione un po’ arbitrarie, ma tutto sommato minime rispetto al rischio che si paralizzasse per settimane un intero sistema ospedaliero, cioè un intero paese.

Questo Natale di pochi incontri, di tavole piccole e mascherine, di distanze che sembrano innaturali, di prudenze incertezze e paure, di angoscia per una situazione economica rispetto alla quale le incognite stanno tutte davanti a noi, ci coglie così, dunque. Tardivamente coscienti che può ancora succedere l’evento catastrofico, anche qui, proprio nel cuore delle nazioni che sognavano di poter sconfiggere la morte tanto da rimuoverla come esito naturale. Tardivamente coscienti di quanto sia importante investire soldi pubblici, cioè soldi presi dalle nostre tasse, in ricerca, medicina di territorio, ospedali. Tardivamente consapevoli che la politica serve davvero alle cose importanti della vita, ed è solo su quello che avrebbe senso giudicarla, se solo ci ricordassimo – senza sentirle minacciate – quali sono le cose importanti.

Eppure, in tutto questo ritardo, piace credere che più del quando è arrivata, conti la scoperta che abbiamo guadagnato. Cioè la coscienza. La coscienza di avere comunque vinto al lotto della storia un terno secco, che ci ha fatto nascere, vivere, crescere in un tempo e in una terra fortunati. In cui in meno di un anno, per capirci, arriva un vaccino contro un’epidemia globale che ha paralizzato il pianeta. In cui, il mondo ha dimostrato comunque, nonostante tutto, di prendere sul serio la vita umana, anche quella più indifesa. Tra un anno, quando tutti speriamo di essere nuovamente riuniti, abbracciati, vicini, con le gote arrossate e i calici pieni, sarà difficile combattere la tentazione di cancellare da ogni memoria questo tempo. Comunque sarà tanto più importante, perché la breve parentesi e dolorosa rappresentata dal Covid19 servirà a tenere vivo il ricordo della fortuna che abbiamo ereditato. Che ci fa diversi, non migliori, di chi è venuto prima di noi. Che ci fa diversi e solo molto più fortunati, di chi appartiene al nostro stesso tempo, ma è nato e cresce dove morire come le mosche è ancora la cosa più normale che può capitare agli esseri umani.

Pandemia fra sacro e profano

Con la pandemia sembra nata una nuova “religione” mondiale che si è imposta all’attenzione di tutti. 

I dettami di questa fede osservati in tutto il mondo sono: l’uso di mascherine, lavarsi le mani, evitare di stringersi le mani e il lavoro da casa, così, per ricordare i principali. Questi sono i riti del buon senso. Ovviamente i sacerdoti di questa religione sono gli scienziati, i medici, gli infermieri e i ricercatori (last but not least). Le loro istruzioni e i loro consigli sono le nuove rivelazioni, i loro reparti covid19, i laboratori e centri di ricerca sono i nuovi luoghi di preghiera, chiese, sinagoghe e moschee.

Questa nuova religione, tuttavia, è un fenomeno contingente, apparso insieme alla minaccia globale del coronavirus, probabilmente, scomparirà quando questa minaccia sarà scongiurata. 

C’è anche e non da trascurare la religione della pecunia anch’essa, per forza di cose, legata alla pandemia. I danni alle quotazioni di borsa e l’altalena del prezzo dell’oro spingono a considerare nuove forme di investimento.

I Bitcoin (la cripto-valuta della blockchain[1] Bitcoin) sono certamente una buona opportunità vengono emessi seguendo una politica monetaria prestabilita dal codice sorgente. Il numero massimo di bitcoin estraibili è pari a 21 milioni, Limite che si stima verrà raggiunto entro il 2140, raggiunta questa cifra non sarà più possibile estrarne altri. Nello specifico la politica monetaria di Bitcoin è la seguente: cinquanta blocchi ogni dieci minuti che si dimezzano ogni quattro anni. Quindi nel 2009, anno della creazione di Bitcoin, la ricompensa per ogni blocco ammontava a 50 BTC, nel 2018, invece, venivano minati 12,5 BTC per ogni blocco. Nel 2022 sarà possibile estrarre solo 6,25 BTC per blocco e così via. Una parte della dottrina, osservando questa caratteristica che rende i bitcoin un bene esauribile, ha accostato questa cripto-valuta all’oro. Secondo questa tesi i bitcoin sarebbero “oro digitale” e potrebbero essere considerati come un bene rifugio di nuova creazione. Nel marzo 2020 si è registrata una notevole flessione negativa del suo valore, infatti, l’avvento della pandemia mondiale di Covid-19 ha fatto registrare un crollo del suo valore tale da fargli raggiungere una delle capitalizzazioni più basse degli ultimi tre anni. Dopo qualche mese, tuttavia, la sua valutazione è tornata alla normalità ed ha addirittura superato la quotazione pre-Covid-19. Questo sembrerebbe dimostrare, se non altro, che il bitcoin è riuscito a superare questo forte periodo di crisi addirittura migliorando la sua quotazione; questo dimostra un grande interesse della comunità nelle cripto-valute, la dilagante importanza del digitale e riafferma la narrazione che lo descrive come nuovo bene rifugio. Una alternativa da considerare agli usuali metodi di investimento.


[1] https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni

Ancora un Dpcm

(ANSA) – ROMA, 27 NOV – Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, firmerà una nuova ordinanza con cui dispone l’area arancione per le Regioni Calabria, Lombardia e Piemonte e l’area gialla per le Regioni Liguria e Sicilia. L’ordinanza sarà in vigore dal 29 novembre.

Ma Conte lo sa che il prossimo Dpcm sarà l’inizio della sua fine?
Cambiare colore alle Regioni, per far contenti commercianti ed affini, senza tener conto del numero dei morti che è terrificante, sarà il fondamento della terza ondata del virus che dovrà essere ridenominato Covid20.

Un confronto serratissimo tra governo, capi di commissione e regioni per la definizione del nuovo Dpcm, decreto di Natale, che verrà firmato salvo imprevisti giovedì 3 dicembre dal presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Il documento conterrà le regole e le indicazioni previste per le festività che, come facile intuire, saranno fortemente influenzate dall’emergenza sanitaria Covid.19. Conte si è confrontato con i capi delegazione della sua maggioranza di governo per illustrare le misure contenute nel decreto. Contestualmente il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia ha convocato i rappresentanti degli enti locali, Regioni, Anci e Upi per un faccia a faccia sul prossimo Dpcm. Con questi ultimi ha discusso anche sulla possibilità di un rientro in classe già a partire dal 9 dicembre, data indicata dal ministro Azzolina. Su tale punto i presidenti di Regione si sono mostrati compatti sostenendo la loro contrarietà alla riapertura in presenza delle scuole medie (seconde e terze classi) e superiori.

Ma, in linea di massima, su quali indirizzi si orienterà il nuovo Dpcm? Quali le forme individuate dal governo per consentire agli italiani di festeggiare il Natale e il Capodanno? Le risposte definitive saranno rese note il 3 dicembre prossimo ma, già in queste ore, si sono rincorse le prime indicazioni su vari ambiti. Ecco alcune delle norme in discussione.

Negozi aperti e uscite serali

Tra le ipotesi sulle quali stanno cercando di fare luce i membri del governo, c’è quella riguardante la possibilità di prorogare l’orario di chiusura dei negozi sino alle 22 così da favorire lo scaglionamento di acquirenti. Le perplessità riguardanti il fatto che tale disposizione potrebbe incentivare le uscite serali.

Riapertura centri commerciali

Dal 4 dicembre potrebbero rimanere aperti centri commerciali e grandi magazzini anche durante il fine settimana. Una deroga che dovrebbe essere provvisoria e potrebbe essere cambiata dopo il 20 dicembre.

Spostamenti tra regioni

Su questo punto le perplessità sono moltissime. Si perché, se da un lato potrebbe essere plausibile entro la metà di dicembre una diminuzione dei contagi, è altrettanto possibile che il ritorno agli spostamenti tra una regione e l’altra possa comportare una più facile trasmissibilità dell’infezione. Molti coloro che sostengono come i viaggi dovrebbero avvenire con la stessa regola delle zone arancioni secondo la quale Altrettanti quelli che sono persuasi ad allentare e permettere una più ampia mobilità. Su questa riflessione i ministri del governo Conte stanno incentrando il dibattito cercando di comprendere come trovare una sintesi consentendo, soprattutto durante le festività natalizie, il ricongiungimento familiare.

Elezioni del Sindaco e del Consiglio Comunale di Collegno

io e il Sindaco

Presso il circolo civico “Margherita Bonavero” di Savonera frazione del Comune di Collegno, si è svolto ieri sera, il dibattito pubblico fra i Candidati Sindaco di Collegno moderato dal giornalista redattore di LUNA NUOVA Paolo Paccò. Al dibattito sono risultati assenti ingiustificati i signori Andrea Di Filippo e Angelo Anedda, presenti Fabrizio Bardella per la Coalizione di Centrodestra e Francesco Casciano per la coalizione di Centrosinistra.

La prima e fondamentale domanda concerne la presentazione del rispettivo programma di consiliatura presentato agli elettori. Il Candidato Bardella ha risposto, in maniera poco impattante, affermando che il contenuto del programma sarebbe stato svolto nel prosieguo della serata intanto ha accennato qualcosa di evasivo sul rilancio del lavoro e del commercio sul territorio comunale.

Francesco Casciano invita gli elettori a leggere il corposo programma pubblicato on line e costruito con la partecipazione di oltre trecento cittadini. Ricorda che il tema del lavoro è centrale per l’amministrazione e lo è stato nei cinque anni passati – Casciano è il Sindaco uscente e ricandidato -, segnati dalla crisi economica che interessa l’intera Italia e non solo. Tuttavia a Collegno operano 266 imprese che tendono ad aumentare di numero a causa della centralità della Linea della Metropolitana di Torino che qui ha il capolinea e che sarà nei prossimi anni incrementata di ben quattro fermate tutte sul territorio collegnese. Ben 40.000 sono attualmente le presenze giornaliere al capolinea Fermi di Collegno, questo è e sara sicuro fattore di sviluppo economico e demografico.

Per quanto riguarda il mondo della scuola Francesco Casciano sottolinea la recente apertura di una Sede Universitaria a Collegno i cui sviluppi futuri, grazie agli investimenti finanziati dallo Stato, sono già avviati con il recupero di ulteriori spazi nella Certosa Reale acquisiti dalla proprietaria ASL 3 .

Importante sarà, per il futuro, la sempre maggiore collaborazione delle associazioni, già in sede di coalizione una lista di commercianti “Collegno a Colori” appoggia la rielezione di Francesco Casciano che annuncia anche l’aumento delle sistemazioni residenziali per gli anziani. Sarà importante anche migliorare il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti che ha già superato il 65 percento previsto dalla normativa vigente.

La serata si è conclusa con l’esame di alcune tematiche prettamente riguardanti la frazione di Savonera con la generale soddisfazione del numeroso pubblico salvo un piccolo alterco ricondotto nei limiti della buona educazione.

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A me non me sta bene che no!

Oggi manifestazione sit-in antifascista a Roma in piazzale delle Paradisee e poi corteo per le vie di Torre Maura  dopo la rivolta di un gruppo di cittadini contro la decisione del Comune – poi revocata –  di trasferire 70 rom in una struttura in via dei Codirossoni. Organizzata da Anpi, Arci, Libera, Cgil e Acli ed altre realtà. In concomitanza, non lontano, si è tenuta una manifestazione di Casapound che si lecca le ferite mediatiche infertegli dal giovane quindicenne Simone.

Applausi dalla folla durante gli interventi infuocati degli organizzatori del sit-in antifascista, ma anche alcune critiche dagli abitanti del quartiere. “Oggi sono qui ma con il pelo sullo stomaco. Perché la sinistra doveva venire prima”, ha detto Raffaella, una residente. “Dove eravamo prima? Tutte queste sigle rispettabilissime dove stavano prima? Abbiamo lasciato spazio alle ultra destre.

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L’Italia che resiste

Italia che resisteIl 2 febbraio è stato il giorno della manifestazione “L’Italia che resiste” ashtag #Italiacheresiste!).

Una catena umana di solidarietà e denuncia che ha coinvolto istituzioni, associazioni e cittadini che si sono stretti in un “abbraccio” di solidarietà contro i provvedimenti liberticidi del #governogialloverde, per dire no alle scelte inumane di chi sta interrompendo i percorsi di assistenza e integrazione, di chi istiga all’odio e alla xenofobia. Per protestare contro il decreto sicurezza del governo, il razzismo e i respingimenti delle navi che soccorrono migranti in mare.

Un’iniziativa organizzata in molti comuni per esprimere il dissenso verso le politiche del governo sull’immigrazione. Si è trattato di un’autoconvocazione spontanea: “perché abbiamo scelto di resistere alle scelte inumane di chi vorrebbe lasciar morire in mare chi scappa dalla guerra, dalla fame e dalla povertà. Perché non si torni indietro mai più”.

Il movimento ha avuto origine a Torino ed è stato in grado di coinvolgere migliaia di persone in tantissime piazze, da Torino a Palermo, ma non solo in Italia. Anche a Bruxelles e Londra gruppi spontanei hanno dato vita a quasi 300 manifestazioni con la bandiera de “L’Italia che resiste”,

Nell’annuncio diramato in tutti i Comuni italiani si chiesto di portare con sé un simbolo del salvataggio in mare, per ricordare, poco dopo il Giorno della memoria, “perché non vogliamo essere come quelli che in tempo di guerra hanno fatto finta di non vedere quello che stava accadendo”.

Ricordiamo, con l’occasione, quanto ci ha detto, nel suo discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Certo, la sicurezza è condizione di un’esistenza serena. Ma la sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune. La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza. 

Qualche settimana fa a Torino alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l’amicizia come strada per la felicità. Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell’infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti.

In altre parole, non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società. Sono i valori coltivati da chi svolge seriamente, giorno per giorno, il proprio dovere; quelli di chi si impegna volontariamente per aiutare gli altri in difficoltà.

Il nostro è un Paese ricco di solidarietà. Spesso la società civile è arrivata, con più efficacia e con più calore umano, in luoghi remoti non raggiunti dalle pubbliche istituzioni. È l’immagine dell’Italia positiva, che deve prevalere.” 

Queste parole, in definitiva, sono state lo stimolo per la manifestazione de “L’Italia che resiste”.

Il sacrificio di Cesare Damiano per Nicola Zingaretti

Se lo slogan elettorale di Nicola Zingaretti è “prima le persone”, Cesare Damiano l’ha fatto proprio in pieno nei confronti del candidato più quotato alla segreteria del PD: si è ritirato dalla competizione proprio per favorire la persona di Nicola.

Il 25 gennaio scorso ho seguito nei locali della V circoscrizione di Torino in Via Stradella uno dei dibattiti di “Piazza Grande” il network messo insieme per propagandare la candidatura di Nicola Zingaretti alla segreteria del PD.

Il tema della serata: “Sviluppo, lavoro e pensioni – Un’Italia del futuro” ha visto protagonisti: Mary Gagliardi segretaria del Circolo ospite, Romano Gilardi, Andrea Giorgis, Anna Rossomando, Gianna Pentenero e Cesare Damiano, moderati da Umberto D’Ottavio navigatissimo politico locale, ex Sindaco di Collegno per due legislature consecutive e Deputato uscente del Parlamento.

Su tutti sono stati significativi gli interventi di Gianna Pentenero consigliere della Regione Piemonte e Cesare Damiano ex sindacalista della CGIL nonché navigatissimo dirigente politico del Partito Democratico ed ex Ministro del Lavoro.

Gianna Pentenero ha evidenziato tutte le criticità del provvedimento governativo che istituirà il “reddito di cittadinanza”, cavallo di battaglia del M5s di Luigi Di Maio. I Centri per l’Impiego (collocamento pubblico al lavoro) che dovrebbero essere protagonisti di questa riforma, atta alla redistribuzione della ricchezza nazionale, non sono più in grado di funzionare in quanto, da tempo, sotto organico e con mezzi informatici obsoleti e non comunicanti: addirittura sono difficili gli scambi comunicativi all’interno di una singola unità operativa.

In Piemonte gli addetti ai Centri sono 420, nell’intera Italia sono 8.000. Occorre quindi correre ai ripari e il Governo gialloverde prevede di affiancare questa struttura pubblica con l’assunzione di circa 10.000 addetti da assegnare a Enfap Servizi una entità privata che gestirà attraverso le controverse figure dei Navigator un delicato servizio pubblico. Appaiono evidenti le storture organizzative al limite della costituzionalità.

Dubbi e perplessità vengono espressi in merito alla effettiva sostenibilità delle principali misure della legge di Bilancio approvata dal Parlamento a fine anno a colpi di voti di fiducia: Reddito di Cittadinanza e Quota Cento per le Pensioni.

Due misure che Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro che, durante l’esecutivo di Romano Prodi, progetto per primo il sistema delle “quote” al riguardo delle pensioni critica con veemenza. Damiano afferma: “le quote le ho inventate insieme a Romano Prodi nell’ormai lontano 2007. Il concetto di “quota”, all’origine, aveva una caratteristica, e cioè la flessibilità. Nel senso che, ad esempio, quota 95 poteva essere la somma di 60 anni di età e 35 di contributi, oppure di 58 anni di età e 37 di contributi versati.

I due addendi, quindi, composti da età anagrafica e anzianità contributiva, potevano alzarsi e scendere. La cosiddetta “quota” di Salvini ha invece un numero fisso:38 anni di contributi e 62 anni di età. In quel caso la somma fa 100, ma se un lavoratore consegue il traguardo dei 38 anni di contributi a 63 anni di età la quota diventa 101, se l’obiettivo lo raggiunge a 64 anni la quota diventa 102 e così via. È evidente che non si tratta della formula originale. In ogni caso io non penso che possiamo opporci ideologicamente a questa misura, perché è una nostra invenzione, una bandiera del Pd che abbiamo lasciato nelle mani della Lega.

La nostra opposizione si deve quindi esercitare sul funzionamento di questi strumenti, e la critica va avanzata su un punto: la quota di Salvini aiuta ad andare in pensione una certa categoria di lavoratori, cioè i lavoratori maschi delle grandi imprese del nord che hanno il vantaggio di avere una lunga carriera contributiva. 38 anni di contributi versati senza nessun vuoto oggi non sono più alla portata di tutti.

Quota 100 quindi, da sola, non basta per l’obiettivo della flessibilità del sistema previdenziale. Non a caso noi abbiamo chiesto di rendere strutturale l’Ape Sociale e il governo ha risposto parzialmente alla nostra domanda prolungando di un solo anno questo strumento.

A differenza di altri esponenti del mio partito – come Renzi, che non ho apprezzato quando si è pronunciato contro questi strumenti, Ape, Quote e reddito di cittadinanza – non penso che le due misure si contrappongano, ma che siano complementari. Una aiuta l’altra, ma una da sola non basta. Il suggerimento è di procedere con emendamenti che migliorino l’Ape Sociale, nel senso che è necessario includere nei lavori gravosi l’edilizia, i lavori stagionali e poi cancellare il vincolo che consente ai disoccupati di andare in pensione con 30 anni di contributi ma a patto che abbiano utilizzato gli ammortizzatori sociali come la Naspi. Anche se non li hanno utilizzati, bisogna far in modo che i disoccupati di lungo periodo possano andare in pensione.

In più io dico che il governo si è dimenticato della nota salvaguardia degli esodati e questo è molto grave. Noi dobbiamo chiedere che il problema venga risolto, perché ci sono 6 mila lavoratori che, a causa della riforma Fornero, non hanno più il lavoro dal 2012 e non hanno ancora la pensione. Questa era una promessa di Di Maio non mantenuta.”

Per quanto riguarda il Congresso del Partito Democratico Cesare Damiano ritiene che occorra essere inclusivi, infatti il regolamento del Partito prevede che al voto espresso dagli iscritti ai Circoli vada affiancato il voto dei partecipanti alle Primarie non iscritti. Per poter avere vita facile al Congresso occorre che Nicola Zingaretti ci si presenti con oltre il 50% dei suffragi. Ecco il motivo principale che lo ha spinto a rinunciare a presentarsi alla competizione per la segreteria.

Infine, secondo Damiano, appare evidente che il governo non riuscirà a reperire i 45 milioni di Euro occorrenti sui tre anni di durata previsti per i due provvedimenti economici bandiera del contratto di governo gialloverde. Questo determinerà probabilmente la caduta del governo.

Come opposizione il Partito Democratico deve tendere alla ricostruzione di un pavimento di diritti che il partito stesso ha largamente contribuito a distruggere, insieme ad altri e sotto varie denominazioni, negli ultimi 40 anni di vita politica italiana.

La distribuzione del lavoro e del reddito, temi tipicamente di sinistra, non possono essere lasciati in mano alla destra al governo che appare incapace di gestire una situazione complicatissima anche e soprattutto in relazione ai rapporti internazionali ed in particolare europei.

No Brexit?


Theresa May è riuscita a passare indenne da un voto cruciale per il suo governo, dopo la sconfitta durissima sul suo accordo con l’Ue per la Brexit che risulta oramai sepolto; con 325 a 306 è stata respinta la mozione di sfiducia contro di lei e il suo governo.

Il leader laburista Jeremy Corbyn ha affermato alla Camera dei Comuni che il voto sarebbe stato decisivo per la tenuta dell’esecutivo e quindi per la sua scalata al governo di Sua Maestà, ma ancora una volta il voto dei deputati del Democratic Unionist Party, i lealisti nordirlandesi, determinati a impedire che Corbyn formi un nuovo governo è risultato decisivo per il destino attuale di Theresa May.

Ora che ce l’ha fatta, ricomincerà tutto daccapo, la premier britannica riprenderà a tessere la tela con i suoi per un nuovo, al momento irrealistico accordo, per allontanare lo spauracchio del 29 marzo, quando il Regno Unito, senza un’uscita concordata con l’Ue, verrebbe brutalmente sbalzata fuori dall’Unione, con conseguenze economiche e commerciali potenzialmente gravissime.

Il partito della May risulta dilaniato da correnti diversissime, dai brexiters agli europeisti. Il punto è che non esiste un piano B dopo che le hanno “ammazzato” l’accordo raggiunto con enorme fatica con l’Europa lo scorso novembre dopo due anni di negoziati.

Inoltre, il nodo fondamentale del backstop, una assicurazione concordata con l’Unione Europea per preservare la fluidità e l’invisibilità del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda; pilastro, questo, fondamentale all’accordo di pace sottoscritto il Venerdi Santo nel 1998m pare tuttora irrisolvibile: i conservatori ribelli e gli unionisti nordirlandesi (che forniscono appoggio esterno a May in Parlamento) lo vogliono rendere estraneo a un nuovo accordo mentre per l’Europa è imprescindibile.

Quindi la  May è rimasta a galla, ma lo stallo rimane immutato. Per questo si pensa di rinviare la scadenza del 29 marzo, cosa che Londra può richiedere ai 27 paesi membri Ue che in maggioranza dovrebbero essere favorevoli e approvare.

Angela Merkel però esclude la possibilità di un nuovo accordo, anche se si dice possibilista sui tempi da dare alla Gran Bretagna per trovare una soluzione interna, su cui – specifica la cancelliera – non ci saranno pressioni europee di alcun tipo. Cioè non infierire su May, ma difendere gli interessi europei. È questa la linea di Macron: “Abbiamo già raggiunto il limite di quello che potevamo fare nel contesto dell’accordo. Per risolvere un problema di politica interna britannica non possiamo non difendere gli interessi degli europei”.

Esaminiamo ora concretamente gli scenari che si preparano per la negoziazione fra il Regno Unito e l’Unione Europea:

– il Regno Unito potrebbe scegliere di entrare nello Spazio Economico Europeo (SEE) come l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Questa opzione preserverebbe i vantaggi della legislazione del mercato unico, ma non consentirebbe al Regno Unito di influenzare direttamente il processo legislativo dell’UE;

– è molto probabile che il Regno Unito cercherà di negoziare con l’UE più accordi su temi specifici (come i servizi finanziari/bancari) oppure un singolo accordo trasversale ai settori (una sorta di accordo omnibus). Tali accordi possono concedere il diritto alle imprese europee di stabilire succursali o filiali nel Regno Unito e viceversa, e anche prevedere limitati diritti relativi ad attività transfrontaliere dirette.

Entrambe le opzioni minimizzerebbero gli effetti negativi della Brexit. Al contrario, se nessuna di queste alternative dovessero essere perseguita, le barriere giuridiche potrebbero limitare profondamente l’accesso al mercato finanziario di Londra.

il post brexit

trasferimento GB

In seguito al risultato del referendum “Brexit”, il Governo britannico dovrà “al più presto” avviare la procedura di recesso volontario e unilaterale ai sensi dell’articolo 50 del Trattato UE, il quale prevede una trattativa di durata biennale.

Andrea Leadsom, candidata emergente per la leadership del Partito Conservatore e del governo britannico, si è presentata come garante dell’attuazione della Brexit dopo il referendum confermando di volere l’avvio dei negoziati per il divorzio da Bruxelles al più presto possibile, senza rinvii. L’attuale sottosegretaria all’Energia ha assicurato che un eventuale governo guidato da lei garantirà il diritto dei cittadini dell’Ue residenti in Gran Bretagna di restare. I negoziati per l’uscita dall’Unione, secondo Leadsom, saranno condotti da un team governativo, ma che verranno consultati il mondo dell’impresa, dell’economia e i partiti di opposizione.

Intanto Nigel Farage il leader della Brexit, proprio ora che l’obiettivo è a portata di mano si è dimesso per “riavere indietro la sua vita”. Difficile non vedere in questo comportamento l’ammissione della mancanza totale di piani suoi o del suo gruppo per fare di quel loro sogno la realtà di domani.

Esaminiamo ora concretamente gli scenari che si preparano per la negoziazione fra il Regno Unito e l’Unione Europea:

– il Regno Unito (non troppo, dopo le voci di secessione della Scozia) potrebbe scegliere di entrare nello Spazio Economico Europeo (SEE) come l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Questa opzione preserverebbe i vantaggi della legislazione del mercato unico, ma non consentirebbe al Regno Unito di influenzare direttamente il processo legislativo dell’UE;

– è molto probabile che il Regno Unito cercherà di negoziare con l’UE più accordi su temi specifici (come i servizi finanziari/bancari) oppure un singolo accordo trasversale ai settori (una sorta di accordo omnibus). Tali accordi possono concedere il diritto alle imprese europee di stabilire succursali o filiali nel Regno Unito e viceversa, e anche prevedere limitati diritti relativi ad attività transfrontaliere dirette.

Entrambe le opzioni minimizzerebbero di molto gli effetti negativi della Brexit. Al contrario, se nessuna di queste alternative dovessero essere perseguita, le barriere giuridiche potrebbero limitare profondamente l’accesso al mercato finanziario di Londra. Tuttavia, alcune recenti leggi finanziarie dell’UE hanno introdotto un “regime di equivalenza dei paesi terzi” che permette alle persone giuridiche di Paesi terzi di accedere alla UE in base ai principi di reciprocità e di equivalenza. Il governo del Regno Unito può tentare di far leva su questo principio e, quindi, rassicurare gli investitori globali che il proprio regime normativo prevede l’equivalenza a quello dell’UE.

Intanto gli azionisti del London Stock Exchange, la Borsa di Londra di cui fa parte anche il listino italiano, si sono espressi a favore dell’accordo di fusione con la Borsa Tedesca (Deutsche Boerse) con una percentuale pari al 99,92%. Questo il risultato dell’assemblea straordinaria dei soci dell’Lse convocati per esprimersi sul progetto di integrazione con il partner tedesco dopo il no all’Europa da parte della Gran Bretagna la dice tutta sulla reale pericolosità della Brexit. E’ la finanza bellezza!

Brexit, una lezione?

brexit
Ora che le bocce sono ferme esaminiamo un evento epocale: il sonoro, storico e drammatico schiaffo all’Europa sferrato dai cittadini del Regno Unito. Dopo un lungo testa a testa, dopo un duello all’ultimo voto, il verdetto delle urne ha dato la vittoria del leave sul remain infatti si è imposto il “sì” alla Brexit. Il Regno Unito dice addio all’Europa: a favore della Brexit il 51,8% dei votanti, contro il 48,2% a favore del remain. Un verdetto che ha sovvertito le prime indicazioni della notte, secondo le quali, dagli opinion poll in poi, era in vantaggio il fronte pro-europeista. La Bbc, da par suo, è stata la prima ad annunciare la vittoria del leave.
Un momento storico e drammatico riflesso sui mercati finanziari globali in cui il panico si è  diffuso: la sterlina è in caduta libera, le Borse asiatiche, aperte a scrutinio in corso, sono precipitate. L’ultima speranza per gli europeisti erano i dati in arrivo da Londra e Scozia, che difficilmente avrebbero capovolto il verdetto. Ha vinto, quindi il fronte euroscettico guidato da Nigel Farage, mentre ne esce con le ossa rotte è il premier, David Cameron, che dopo aver indetto il referendum si è battuto a favore del remain, perdendo. Una sconfitta, la sua, che lo ha costretto a presentare le dimissioni.
Il dato sull’affluenza si è attestato al 72,1%, più basso rispetto a quanto affermato dopo i primi conteggi della serata. Il picco dell’84% è stato registrato a Gibilterra, dove il “remain” ha stravinto con il 95,4 per cento.
I giovani sarebbero rimasti, hanno votato in massa remain. Per loro hanno deciso quelli che sono nella fase declinante della parabola della vita, arroccati in difesa di posizioni e privilegi, spaventati da frontiere troppo lasche. Lo spiega l’analisi dell’istituto Yougov:  il 75% dei votanti tra i 18 e i 24 anni hanno votato per rimanere nell’Unione. Anche la maggior parte degli adulti tra i 25 e i 49 anni, quelli all’inizio o nel pieno della vita lavorativa, ha scelto la permanenza nella Ue. La curva dei voti flette nella fascia d’età che va dai 50 ai 65 anni (dove il Remain cala al 42%) per precipitare al 36% tra gli over 65, i più entusiasti per l’uscita. Grandi sconfitti i giovani, insomma, tant’é!
Ora il Regno Unito è fuori dall’Unione Europea anche se potrebbe avere fino a due anni di tempo a disposizione per l’abbandono definitivo. Si apre una nuova epoca per l’Europa, dove ci si può ribellare, dove si può anche andare via, ma anche aprire una nuova fase per una vera coesione.